Viviamo in un’epoca di paradossi ambientali. Da un lato firmiamo petizioni per salvare il pianeta, piantare alberi e tutelare la biodiversità. Dall’altro, ci indigniamo perché nel nostro quartiere l’erba è cresciuta “troppo” e i rami degli alberi sporgono sul marciapiede. Denunciamo il degrado, chiediamo interventi immediati, parliamo di “jungla urbana”.
What exactly do you think healthy natural environment look like? Is healthy nature allowed only where it is someone’s else problem?

La natura urbana non ha senso che sia solo decorativa. Soffriamo dell’illusione di una “natura addomesticata” fatta solo di aiuole rasate e siepi geometriche. La città ha bisogno di vita e la vita è complessa, quasi sempre disordinata, che poi è quello che la rende affascinante agli occhi di chi ha sviluppato la capacità di apprezzarne la complessità.

Il nostro rapporto con la natura è viziato da un’estetica dell’ordine, ereditata da decenni in cui il verde pubblico doveva assomigliare a un campo da golf: rasato, controllato, quasi sterile. In questo modello, ogni espressione spontanea del vivente è vista come una minaccia e va eradicata.
Non è nemmeno colpa nostra, è davvero una visione che abbiamo ereditato, in pratica un mito del “decoro”, sinonimo di cemento, erba tagliata, verde pettinato e di contorno.
Però siamo tutti “bimbi grandi” e dobbiamo essere capaci di metterla in dubbio e chiederci se sia davvero una visione che sposiamo o che abbiamo solo adottato dai nostri predecessori. Il fatto che la natura nelle città “sia sempre stata gestita così” non è un motivo sufficiente per continuare ciecamente a camminare in quella direzione.

La natura non tenderà mai a formare un giardino zen e se vogliamo tutelare l’ambiente, non possiamo pensare di combatterci contro, dovremmo favorire la tendenza naturale di trasformazione in un sistema complesso, selvaggio, vivo. La qualità della natura urbana non si dovrebbe misurare in quanto pettinata sia l’erba, ma nella varietà di specie che una città è capace di attirare e ospitare.

The “No Mow May” movement

L’idea che una città sia ben “curata” solo se tutto assomiglia a una fotografia patinata di catalogo immobiliare è assurda. Di di preciso, quando diamine abbiamo deciso che la manutenzione del verde debba essere un processo di sterilizzazione, anziché di cura? Una città viva è una città che lascia spazio alla vita, senza la necessità di controllare come e quanto può crescere. Ovviamente dovrebbero esistere stabiliti dei limiti, ma all’interno di questi la natura dovrebbe essere solo incoraggiata a raggiungere il livello di “selvaticità” maggiore possibile, cosa che però ad oggi non sembrerebbe essere un pensiero molto popolare, almeno tra i Padernesi.

Siamo talmente abituati all’idea che la natura debba essere sotto controllo, che non ci accorgiamo più di quanto sia diventata artificiale e povera la vegetazione che possiamo incontrare nella nostra quotidianità. Ogni volta che tagliamo l’erba “per decoro”, stiamo distruggendo piccoli ecosistemi.
E ironicamente ci lamentiamo del caldo insopportabile d’estate o dell’aria irrespirabile. Ogni metro quadrato di terra lasciato respirare è un metro quadrato che aiuta a combattere l’effetto isola di calore, a drenare le piogge intense, ma per farlo deve essere “sano”.

Se volessimo prendere spunto da altri paesi, troveremmo facilmente un movimento abbastanza diffuso chiamato “No-Mow-May”, che invita i proprietari di giardini e le amministrazioni pubbliche a non tagliare l’erba nel mese di maggio, lasciando spazio alla natura di fiorire con la primavera senza essere ostacolata.

(Ovviamente, scavando abbastanza troviamo anche delle personalità importanti che si sono espresse contro a questo fenomeno, ma solo perché vogliono denunciare che alcune persone sono arrivate ad associare questa mentalità del “lasciare spazio” alla natura solo al mese di maggio, dando per scontato che sia sufficiente e che tutto ciò che non viene rasato dopo il mese di maggio sia considerato, nuovamente, non decoroso)

In Italia questo movimento non ha assolutamente preso piede. Siamo decisamente un gradino in dietro rispetto ad altri su questo. Che per carità, andrebbe anche benissimo così se non vedessi che la tendenza sembra quasi voler fare altri due passi indietro, invece che progredire…

Un cambio di mentalità, non solo di gestione

Le amministrazioni comunali non sono giardinieri a servizio dell’immaginario anni ’80 dei cittadini. Sono enti pubblici che oggi più che mai sono responsabili di guidare il proprio territorio nella transizione ecologica, per come meglio si sposa con il territorio in particolare. L’erba alta in primavera non è incuria, è il tipo di “green aesthetics” che dobbiamo sponsorizzare, un gesto deliberato di tutela ambientale. Non rasare può voler dire proteggere habitat, risparmiare CO₂, aumentare la resilienza urbana. Posso capire che questa cosa metta a disagio alcuni, ma sta ai cittadini stessi che si sentono coinvolti risolvere questo loro BIAS.

Non vorrei che passasse per retorica ambientalista: io stesso sono direttamente danneggiato da questo tipo di approccio alla manutenzione del verde. Sono allergico a moltissime cose, inclusi i pollini di varie piante che rendono la primavera e l’inizio settembre un incubo. Però non mi aspetto che la mia città vada a sterilizzare l’intero territorio che visito quotidianamente solo per poter tutelare una mia debolezza. Capisco il valore del convivere con un ambiente naturale florido e “risolvo” il mio conflitto con la scelta della mia città di far crescere comunque della vegetazione accettando di soffrire per i periodi di alta concentrazione di polline. Nessuno mi sta forzando a farlo, se dovesse per qualche motivo diventare insopportabile sono sempre libero di andare dove invece potrei sopravvivere meglio.

Anche essendone direttamente danneggiato, sceglierò sempre la “green aesthetics” sulla sinistra a quella a destra.

La chiudiamo qui la discussione, pls?

Sinceramente mi cadono le braccia davanti a tutto il solito polverone sollevato periodicamente in occasione della primavera. Per questo motivo scrivo ora che sembra essere finalmente passato.
Ogni anno sento le solite argomentazioni. Possiamo per favore scegliere una volta per tutte se vogliamo un’estetica del controllo o della sostenibilità. Non vale sostenere la sostenibilità solo a casa di altri; quindi, se scegliete di supportare la biodiversità, vi dovrete anche accollare il peso di convivere con aree che siano lasciate crescere senza interferenze umane.

Ovviamente, visto che già immagino delle possibili obiezioni, tengo a specificare che non tutte le aree verdi della città dovrebbero essere “selvagge”. Invece di delimitare l’interferenza umana sulla natura in termini di calendario (come proposto dal No-Mow-May), mi trovo ad apprezzare molto di più l’approccio di distinzione geografica delle aree.

Aree non ad uso umano

Ad oggi a Paderno esistono le aree a sfalcio ridotto e credo che questo approccio abbia la potenzialità di essere molto più efficace.

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Alcune zone verdi dovranno essere mantenute sempre in ordine e rasate per permettere agli abitanti di godere degli spazi senza il fastidio dell’erba alta. Devono essere ben distribuite sul territorio di Paderno Dugnano possano usare per giocare al pallone o fare una passeggiata con il cane. Altre, però, devono essere definite come aree esplicitamente “non ad uso umano”.

Aree dove, chi vuole potrà accedere per passeggiare, ma dove la priorità non sarà l’estetica o la facilità di accesso, bensì la biodiversità e la capacità dell’area di andare ad assorbire “storm water” e calore urbano.

Volendo fare un esempio pratico possiamo considerare le rotonde presenti sul nostro territorio. Queste saranno sicuramente da considerare come aree da lasciare selvagge. Tolto il rischio di visibilità stradale per evitare possibili incidenti, che dobbiamo ovviamente considerare, le rotonde non sono da considerare ad uso umano. Nessuno ha mai preso un telo, piazzandosi su una rotonda per fare il picnic domenicale con la famigliola. Sono aree verdi che non devono dare priorità all’accessibilità umana, alla cura o all’ordine, possono quindi favorire la biodiversità cittadina. In queste rotonde dovremmo vedere erba alta, nuove piante che nascono e crescono naturalmente, insetti impollinatori e altri esempi pratici di salute di un ambiente.

Per riuscire a creare una rete solida di aree verdi selvatiche e sane, dovremmo trasformare le aree a sfalcio ridotto in aree protette, senza alcuno sfalcio, seguite solo con il corretto pruning per favorire uno sviluppo migliore. Perché chiaramente lavorando solo su fazzoletti di terra o sulle rotonde non andremmo da nessuna parte. Sinceramente ragazzi non mi sembra una “mission impossible”.

Capisco benissimo la climate anxiety che porta molti ad avere una percezione di aver già perso la battaglia ambientale, ma sulla gestione del verde urbano direi che possiamo arrivare a trovare una soluzione unanime… siamo quattro gatti e abbiamo solo il 30% del territorio non cementificato. Non si parla di cambiamenti radicali, semplicemente non abbiamo abbastanza parchi da poterci permettere il lusso di rinchiudere la natura solo al loro interno. Dobbiamo sfruttare furbescamente anche aiuole, cordoli di separazione corsie, aree dismesse… Alla fine basterebbe solo abituare il proprio occhio a vedere la bellezza anche in un ecosistema disordinato e, improvvisamente, l’erba alta non sarebbe più così problematica.

Un suggerimento all’amministrazione comunale

Ovviamente, quando sul territorio si vedono scene come questa, sembra impossibile evitare le lamentele:

Il primo istinto è quello di considerare l’erba alta e disordinata come un segno di incuria, qualcosa che “rovina” il paesaggio e che andrebbe tagliato al più presto. È una reazione comprensibile: siamo abituati a pensare che un prato curato debba essere corto, ordinato e omogeneo, quasi come un tappeto verde.

Però abbiamo un pochino di spazio di manovra. Vi porto un esempio da un altro paese (chi indovina quale vince un premio) in cui ho visto che l’amministrazione non ha dovuto combattere contro la natura per ottenere un risultato gradevole. In molti luoghi ho visto che basta un piccolo accorgimento, ad esempio inserire qualche macchia di colore con fiori spontanei o piantumati, per trasformare quello che qui verrebbe percepito come “obrobrio selvaggio” in qualcosa di piacevole e persino fotografabile.

Nelle due foto che seguono, ad esempio, l’erba è addirittura più alta di quella di Paderno, ma l’impressione generale è completamente diversa: la presenza dei fiori dona movimento, colore e un senso di “natura viva” invece che di abbandono.

Con un approccio anche a costo zero, si potrebbe risolvere il problema della percezione di incurie e di anti estetica della natura che cresce.

In sintesi sindaca, potreste provare a fare un esperimento per l’anno prossimo, piantando fiori e senza modificare nient’altro della vostra gestione del verde. Let’s see if people start to see the potential beauty of an overgrown garden.

I would bet that for the same amount of effort you would get much better approval rate!